Pago il Martini lanciando le monetine sul banco.
Da quando gioco a poker è così. Tutto è fiches.
Mi siedo su uno sgabello di legno.
Accanto al calcio balilla.
Il circolo assomiglia tantissimo a un vecchio bar che frequentavo da piccolo per giocare a Wonder Boy.
Di fronte alla pesa pubblica di Ponte di Piave.
C’era un merlo indiano. Cocorito. Di quelli che parlano.
Lo guardavi fisso negli occhi. Arrotavi la “r” di “cocorito” per farlo parlare.
Lui rispondeva sempre e solo “diooo can”.
Al circolo giungono i primi “amici di amici”.
Veronica – professione maestra, nel tempo libero catechista.
Lucrezia – professione psicologa, nel tempo libero psicologa della porta accanto.
E altri. Ma non centrano.
Mi annoio. Non è una novità. Ma stasera mi annoio fino al punto tale di rimpiangere di non avere mai avuto un lettore mp3. Forse vorrei addirittura un ipod. No, forse un ipod è troppo.
Veronica e Lucrezia sono strane. Ubriache sì. Ma logorroiche, esagitate.
Sparano cazzate no sense. Non è solo alcool.
Gli amici di amici si assentano.
“Vieni anche tu? Siamo a casa di Antonio qui dietro. Torniamo fra dieci minuti, se ti va vieni”.
Non mi va.
So cosa vuol dire quando uno si assenta dalla socialità per dieci minuti.
E non mi va.
Gli amici di amici ritornano. Più logorroici di prima.
La psicologa della porta accanto mi devasta di stronzate introspettive random.
Annuisco. Le dico che ha ragione.
Che è vero: “sotto la mia maschera di indifferente e arrogante in realtà si cela l’insicurezza”.
Vorrei chiederle anche l’oroscopo per la terza decade ma devo levarmela dal cazzo al più presto.
Ci muoviamo. Dobbiamo andare al “Succo”. Un altro locale.
Meno pashmine, più Louis Vitton.
Facciamo tappa da Antonio.
Per i soliti dieci minuti.
“Ti droghi?”
“Sì”
“Davvero?”
“Sì. Fumo qualche canna per addormentarmi”
“No beh, ti chiedevo se ti drogavi VERAMENTE”.
E’ divertente come linee di confine dell’alterazione delle percezioni seguano le variabili del “vero” e del “falso”. Le stesse di un partecipante a un reality.
La canna è falsa.
La coca è vera.
Entriamo da Antonio.
Ci sediamo in salotto.
A turno fanno la spola verso il bagno.
Dove è disposta una cornice di vetro sulla quale piegano le narici a novanta.
A turno tornano in salotto.
Siamo seduti in cerchio.
In 10. Se avessi vent’anni di meno e fossi in gita con i preti qualcuno intonerebbe “sono un fungo wash wash velenoso wash wash”.
In quel preciso istante scatta la follia.
L’elemento deviante che destabilizza la community.
“Sapete che Enrico ha partecipato a un reality?”.
Io le chiamo “le porte”. Mi accadono spesso. Piccole zone protette del cervello dove ti ci infili quando sei in difficoltà. Non pensi a dove sei. A cosa sta per accadere. Immagini solo di essere di fronte a una porta. Ogni volta, quando la apri, ti appare qualcuno di diverso.
Un’immagine prodotta casualmente dal tuo pensiero.
In quel preciso istante mi appare il Maestro Gian Piero Reverberi.
Dirige La Fede Tradita e Vendicata di Vivaldi.
“Ma stai scherzando? Un reality?”.
Un reality è tabù.
E’ socialmente poco accettato.
Veronica e Lucrezia entrano nel vivo della questione.
Tento di liquidarle ma non c’è verso.
Un cretino col colletto alzato in via Calmaggiore direbbe “sono in piena”.
Non ho nessuna voglia di parlare ma devo.
Lucrezia tenta un’analisi Freudiana per giustificare la mia presenza a un reality.
Insoddisfazione dell’ego.
Narcisismo.
Desideri incompiuti.
Senso di potere.
Vorrei spalamarle la camola che mi sono appena staccato sulla borsa di Fendi.
Ma è troppo lontana.
Trattengo la rabbia per non essere scivolato via prima da un discorso del genere.
E se io cambiassi prospettiva? E se io per una volta provassi a spiegare?
E se proprio perché sei una cocainomane del cazzo tu riuscissi a capirmi?
Prendo fiato. Decido di spiegare.
Lucrezia mi chiede 1 minuto.
Tappa al bagno.
Riprendo fiato.
“Vedi la cosa che più mi ha sconvolto dell’aver partecipato a un reality sono gli effetti che la cosa ha avuto sugli altri. Nel bene o nel male, prevale il giudizio, forse il pregiudizio. Spesso morale. Nessuno si è chiesto perché io l’abbia fatto. Tutti avevano una loro interpretazione che ritenevano certa. Capisci? Così nessuno conosce mai nessuno. Si tengono la sicurezza di un giudizio morale evitando il confronto. Esattamente come hai fatto tu”
Lucrezia sbotta. Urla.
“Il giudizio morale è un mio diritto! Il giudizio morale deve esserci, basta con questa cosa che non si possono dare giudizi morali!”
Un diritto.
Un mio diritto.
Esplodo.
“Magari prima di formularlo passa a pulirti la punta del naso…”
Scende il gelo.
Sarà così per il resto della serata.
E’ una comunità pagana, io sono il loro capro esterno.
Non ho toccato nessun nervo scoperto.
Mi hanno solo ostracizzato.
Senza minimamente riflettere sulla loro colpa.
René Girard quella sera si sarebbe divertito molto. Forse anche Pennac.
Il reality è tabù.
La coca no.
La coca è oltre il giudizio morale.
La coca è il Rito.
Benvenuti.
Sempre e solo Arcade Fire. Solo Wake Up ha il potere di non farmi chiudere gli occhi