Deep Blue
Trieste.
Bar Stella.
Estate 2005.
Io, Giannino e Marco assistiamo all’ingresso
nel mercato estivo dei camerieri, di uno schiavo nuovo.
Tatuatissimo. E’ la priva volta che lo vedo.
Giannino c’ha già avuto a che fare.
Di primo acchito non sembra un genio.
Beviamo un aperitivo.
Andiamo al banco a pagare.
Dietro alla cassa c’è lui. Giovanissimo, in canotta. Muscoli.
Gianni sospira:
“Uhh, ‘stu che al fâs una dificoltât cui conts… îr i ai dât 5 e al è stât 3 minûts par capî tant che al veva da dâmi di rest…”
(uhh, ‘sto qui è così imbranato coi conti…ieri gli ho dato 5 ed è rimasto 3 minuti per capire quanto doveva darmi di resto)
Pago io.
“Xé 6 euro e 20”.
Gli do 10 euro.
Il tatuato si concentra per capire quanto mi deve ritornare.
Nelle tasche trovo 20 centesimi e glieli metto sul banco, pensando di aiutarlo.
Lui distoglie lo sguardo dai 20 centesimi e fa un’espressione di dolore, cercando maggior concentrazione.
Gianni: “uh, ades tu lu âs mitût in dificoltât…”.
(“uh adesso l’hai messo in difficoltà“)
Dopo un po’ mi dà il resto, aiutato da una calcolatrice.
Gianni mi guarda ridendo sotto i baffi.
Usciamo.
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Trieste, città vecchia, un anno dopo.
Passiamo con Giannino davanti ad locale appena aperto.
“Uh. gianni savevitu di ‘stu ambient?”
(“gianni sapevi di ‘sto locale“)
“Si, lu an viert da pôc. A lu gjestìs chel fantat che al lavorava al Stella“.
(“sì, l’hanno aperto da poco. E’ gestito dal tizio che lavorava allo Stella“)
“Ma cui? il biont (intendendo un altro barista di 4 anni prima)?”
(“Ma chi, il biondo?”)
“Ma no dai. chel dut tatuât. chel che jo i clamavi Deep Blue…”
(“Ma no dai. Quello tutto tatuato. Quello che io chiamavo Deep Blue“)
“Ah… e parcè Deep Blue?”
(“Ah…e perché Deep Blue?“)
“Eh, al è il nom dal computer che al à batut Kasparov…”
(“Eh, è il nome del computer che ha battuto Kasparov…”)
Questo ve lo traduco fra un po‘. Fatto. E’ un dialogo semplicemente meraviglioso. Grazie a Marco e a Dree per la preziosa collaborazione